DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
PER L'INIZIO DEL PONTIFICATO
Domenica 22 ottobre 1978
1. “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente”
(Mt 16,16). Queste parole ha pronunciato Simone figlio
di Giona, nella regione di Cesarea di Filippo. Sì, le ha
espresse con la propria lingua, con una profonda,
vissuta, sentita convinzione, ma esse non trovano in lui
la loro fonte, la loro sorgente: “...perché né la carne
né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che
sta nei cieli” (Mt 16,17). Queste erano parole di
Fede. Esse segnano l’inizio della missione di Pietro
nella storia della salvezza, nella storia del Popolo di
Dio. Da allora, da tale confessione di Fede, la storia
sacra della salvezza e del Popolo di Dio doveva
acquisire una nuova dimensione: esprimersi nella storica
dimensione della Chiesa. Questa dimensione ecclesiale
della storia del Popolo di Dio trae le sue origini,
nasce infatti da queste parole di Fede e si allaccia
all’uomo che le ha pronunciate: “Tu sei Pietro – roccia,
pietra – e su di te, come su una pietra, io costruirò la
mia Chiesa”.
2. Quest’oggi e in questo luogo bisogna che di
nuovo siano pronunciate ed ascoltate le stesse parole:
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Sì,
Fratelli e Figli, prima di tutto queste parole. Il loro
contenuto dischiude ai nostri occhi il mistero di Dio
vivente, mistero che il Figlio conosce e che ci ha
avvicinato. Nessuno, infatti, ha avvicinato il Dio
vivente agli uomini, nessuno Lo ha rivelato come l’ha
fatto solo lui stesso. Nella nostra conoscenza di Dio,
nel nostro cammino verso Dio siamo totalmente legati
alla potenza di queste parole “Chi vede me, vede pure il
Padre”. Colui che è Infinito, inscrutabile, ineffabile
si è fatto vicino a noi in Gesù Cristo, il Figlio
unigenito, nato da Maria Vergine nella stalla di
Betlemme. – Voi tutti che già avete la inestimabile
ventura di credere, – voi tutti che ancora cercate
Dio, – e pure voi tormentati dal dubbio: vogliate
accogliere ancora una volta – oggi e in questo sacro
luogo – le parole pronunciate da Simon Pietro. In quelle
parole è la fede della Chiesa. In quelle stesse parole è
la nuova verità, anzi, l’ultima e definitiva verità
sull’uomo: il figlio del Dio vivente. “Tu sei il Cristo,
Figlio del Dio vivente”!
3. Oggi il nuovo Vescovo di Roma
inizia solennemente il suo ministero e la missione di
Pietro. In questa Città, infatti, Pietro ha espletato e
ha compiuto la missione affidatagli dal Signore. Il
Signore si rivolse a lui dicendo: “...quando eri più
giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove
volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e
un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non
vuoi” (Gv 21,18). Pietro è venuto a Roma!
Cosa lo ha guidato e
condotto a questa Urbe, cuore dell’Impero Romano, se non
l’obbedienza all’ispirazione ricevuta dal Signore? Forse
questo pescatore di Galilea non avrebbe voluto venire
fin qui. Forse avrebbe preferito restare là, sulle rive
del lago di Genesaret, con la sua barca, con le sue
reti. Ma, guidato dal Signore, obbediente alla sua
ispirazione, è giunto qui! Secondo
un’antica tradizione (che ha trovato anche una sua
magnifica espressione letteraria in un romanzo di Henryk
Sienkiewicz), durante la persecuzione di Nerone, Pietro
voleva abbandonare Roma. Ma il Signore è intervenuto:
gli è andato incontro. Pietro si rivolse a lui
chiedendo: “Quo vadis, Domine?” (Dove vai, Signore?). E
il Signore gli rispose subito: “Vado a Roma per essere
crocifisso per la seconda volta”. Pietro tornò a Roma ed
è rimasto qui fino alla sua crocifissione. Sì, Fratelli
e Figli, Roma è la Sede di Pietro. Nei secoli gli sono
succeduti in questa Sede sempre nuovi Vescovi. Oggi un
nuovo Vescovo sale sulla Cattedra Romana di Pietro, un
Vescovo pieno di trepidazione, consapevole della sua
indegnità. E come non trepidare di fronte alla grandezza
di tale chiamata e di fronte alla missione universale di
questa Sede Romana?! Alla Sede di Pietro a Roma sale
oggi un Vescovo che non è romano. Un Vescovo che è
figlio della Polonia. Ma da questo momento diventa pure
lui romano. Sì, romano! Anche perché figlio di una
nazione la cui storia, dai suoi primi albori, e le cui
millenarie tradizioni sono segnate da un legame vivo,
forte, mai interrotto, sentito e vissuto con la Sede di
Pietro, una nazione che a questa Sede di Roma è rimasta
sempre fedele. Oh, inscrutabile è il disegno della
divina Provvidenza!
4. Nei secoli passati, quando il Successore di
Pietro prendeva possesso della sua Sede, si deponeva sul
suo capo il triregno, la tiara. L’ultimo incoronato è
stato Papa Paolo VI nel 1963, il quale, però, dopo il
solenne rito di incoronazione non ha mai più usato il
triregno lasciando ai suoi Successori la libertà di
decidere al riguardo. Il Papa Giovanni Paolo I, il cui
ricordo è così vivo nei nostri cuori, non ha voluto il
triregno e oggi non lo vuole il suo Successore. Non è il
tempo, infatti, di tornare ad un rito e a quello che,
forse ingiustamente, è stato considerato come simbolo
del potere temporale dei Papi. Il nostro tempo ci
invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad
immergere in una umile e devota meditazione del mistero
della suprema potestà dello stesso Cristo. Colui che è
nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname – come
si riteneva –, il Figlio del Dio vivente, come ha
confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi “un
regno di sacerdoti”. Il Concilio Vaticano II ci ha
ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la
missione di Cristo – Sacerdote, Profeta-Maestro, Re –
continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è
partecipe di questa triplice missione. E forse nel
passato si deponeva sul capo del Papa il triregno,
quella triplice corona, per esprimere, attraverso tale
simbolo, che tutto l’ordine gerarchico della Chiesa di
Cristo, tutta la sua “sacra potestà” in essa esercitata
non è altro che il servizio, servizio che ha per scopo
una sola cosa: che tutto il Popolo di Dio sia partecipe
di questa triplice missione di Cristo e rimanga sempre
sotto la potestà del Signore, la quale trae le sue
origini non dalle potenze di questo mondo, ma dal Padre
celeste e dal mistero della Croce e della
Risurrezione. La potestà assoluta e pure dolce e soave
del Signore risponde a tutto il profondo dell’uomo, alle
sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà,
di cuore. Essa non parla con un linguaggio di forza, ma
si esprime nella carità e nella verità. Il nuovo
Successore di Pietro nella Sede di Roma eleva oggi una
fervente, umile, fiduciosa preghiera: “O Cristo! Fa’ che
io possa diventare ed essere servitore della tua unica
potestà! Servitore della tua dolce potestà! Servitore
della tua potestà che non conosce il tramonto! Fa’ che
io possa essere un servo! Anzi, servo dei tuoi servi”.
5. Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di
accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate
il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la
potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le
porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini
degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i
vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non
abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo
lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta
dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così
spesso è incerto del senso della sua vita su questa
terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in
disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro
con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di
parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di
vita eterna. Proprio oggi la Chiesa intera celebra la
sua “Giornata Missionaria Mondiale”, prega, cioè,
medita, agisce perché le parole di vita del Cristo
giungano a tutti gli uomini e siano da essi accolte come
messaggio di speranza, di salvezza, di liberazione
totale.
6. Ringrazio tutti i presenti che
hanno voluto partecipare a questa solenne inaugurazione
del ministero del nuovo Successore di Pietro. Ringrazio
di cuore i Capi di Stato, i Rappresentanti delle
Autorità, le Delegazioni di Governi per la loro presenza
che mi onora tanto. Grazie a voi, Eminentissimi
Cardinali della Santa Chiesa Romana! Vi ringrazio,
diletti Fratelli nell’Episcopato! Grazie a voi,
Sacerdoti! A voi Sorelle e Fratelli, Religiose e
Religiosi degli Ordini e delle Congregazioni! Grazie!
Grazie a voi, Romani!
Grazie ai pellegrini
convenuti da tutto il mondo!
Grazie a quanti sono
collegati a questo Sacro Rito attraverso la Radio e la
Televisione!
7. Do Was sie zwracam umilowani
moi Rodacy, Pielgrzymi z Polski, Bracia Biskupi z Waszym
Wspanialym Prymasem na czele, Kaplani, Siostry i Bracia
polskich Zakonów – do Was, Przedstawiciele Polonii z
calego swiata.
A cóz powiedziec do
Was, którzy tu przybyliscie z mojego Krakowa, od stolicy
sw. Stanislawa, ktorego bylem niegodnym nastepca przez
lat czternascie. Coz powiedziec? Wszystko co bym mogl
powiedziec bedzie blade w stosunku do tego, co czuje w
tej chwili mofe serce. A takze w stosunku do tego, co
czuja Wasze serca.
Wiec oszczedzmy slów.
Niech pozostanie tylko wielkie milczenie przed Bogiem,
ktore jest sama modlitwa.
Prosze Was! Badzcie ze
mna! Na Jasnej Gorze i wszedzie! Nie przestawajcie byc z
Papiezem, który dzis prosi slowami poety “Matko Boza, co
Jasnej bronisz Czestochowy i w Ostrej swiecisz Bramie”!i
do Was kieruie te slowa w takiej niezwyklej chwili.
È stato questo un appello ed un invito alla
preghiera per il nuovo Papa, appello espresso in lingua
polacca. Con lo stesso appello mi rivolgo a tutti i
figli ed a tutte le figlie della Chiesa Cattolica.
Ricordatemi oggi e sempre nella vostra preghiera.
Aux catholiques des pays de langue française,
j’exprime toute mon affection et tout mon dévouement! Et
je me permets de compter sur votre soutien filial et
sans réserve! Puissiez-vous progresser dans la foi! A
ceux qui ne partagent pas cette foi, j’adresse aussi mon
salut respectueux et cordial. J’espère que leurs
sentiments de bienveillance faciliteront la mission
spirituelle qui m’incombe et qui n’est pas sans
retentissements sur le bonheur et la paix du monde!
To all of you who speak English I offer in the
name of Christ a cordial greeting. I count on the
support of your prayers and your good will in carrying
out my mission of service to the Church and mankind. May
Christ give you his grace and his peace, overturning the
barriers of division and making all things one in him.
Einen herzlichen Gruss richte ich an die hier
anwesenden Vertreter und alle Menschen aus den Ländern
deutscher Sprache. Verschiedene Male – und erst kürzlich
durch meinen Besuch in der Bundersrepublik Deutschland –
hatte ich Gelegenheit, das segensreiche Wirken der
Kirche und Ihrer Gläubigen persönlich kennen und
Schätzen zu lernen. Lassen Sie Ihren opferbereiten
Einsatz für Christus auch weiterhin fruchtbar werden für
die grossen Anliegen und Note der Kirche in aller Welt.
Darum bitte ich Sie und empfehle meinen neuen
apostolischen Dienst auch Ihrem besonderen Gebet.
Mi pensamiento se dirige ahora hacia el mundo de
la lengua española, una porción tan considerable de la
Iglesia de Cristo. A vosotros, Hermanos e hijos
queridos, llegue en este momento solemne el afectuoso
saludo del nuevo Papa. Unidos por los vínculos de una
común fe católica, sed fieles a vuestra tradición
cristiana, hecha vida en un clima cada vez más justo y
solidario, mantened vuestra conocida cercanía al Vicario
de Cristo y cultivad intensamente la devoción a nuestra
Madre, María Santísima.
Irmaos e Filhos de língua portuguesa: como
“servo dos servos de Deus”, eu vos saúdo afectuosamente
no Senhor. Abenoando-vos, confio na caridade da vossa
oraao, e na vossa fidelidade para viverdes sempre a
mensagem deste dia e deste rito: “Tu és o Cristo, o
Filho de Deus vivo!”.
(seguiva un breve testo in lingua russa, qui
omesso)
Apro il cuore a tutti i Fratelli
delle Chiese e delle Comunità Cristiane, salutando, in
particolare, voi che qui siete presenti, nell’attesa del
prossimo incontro personale; ma fin d’ora vi esprimo
sincero apprezzamento per aver voluto assistere a questo
solenne rito. E ancora mi rivolgo a tutti gli uomini, ad
ogni uomo (e con quale venerazione l’apostolo di Cristo
deve pronunciare questa parola: uomo!).
Pregate per me!
Aiutatemi perché io vi possa servire! Amen.
PREPARARE L'AVVENTO DI CRISTO
"La comunità cristiana ha il compito di farsi testimone
di fronte al mondo di questa attesa annunciando... la
nuova venuta del Signore allorché il tempo lascerà il
posto all'eternità. Viviamo insieme con Maria questo
tempo di attesa e chiediamole di guidare i nostri
passi incontro al Signore. Ella oggi ci ripete con il
suo Figlio: «Alzatevi
e levate il capo perché la vostra redenzione è vicina!».
(Angelus 27.11.88 Avvenire)
"Questo pellegrinaggio
deve continuare!
Deve
continuare nelle nostre vite. Dove continuare nella vita
della Chiesa mentre guarda al terzo millennio cristiano.
Deve continuare come “un nuovo avvento”, un momento di
speranza e di attesa, fino al
ritornoº del Signore nella Gloria. La nostra
celebrazione di questa giornata
mondiale della gioventù è una sosta lungo il
cammino, un momento di preghiera e di ristoro, ma il
nostro viaggio deve condurci ancora avanti. Denver,
Colorado (U.S.A.) 15.08.1993
Parlando alla stampa
sul significato del giubileo del 2000 “La sfida è
costituita dal vedere il mondo propriamente informato
sul vero significato dell'anno 2000, anniversario della
nascita di Gesù Cristo. Il Giubileo non può essere solo
il ricordo di un
evento passato per quanto straordinario, deve
essere la celebrazione di una presenza viva e un invito
a guardare al secondo avvento del nostro salvatore,
momento in cui instaurerà una volta per sempre il
Suo Regno di giustizia, di amore e di pace.
Roma (Italia) 28.02.1997
“Annunciamo la tua morte, Signore,
proclamiamo la tua Risurrezione,
nell'attesa
della tua venuta”. Tutta la Chiesa attende la sua venuta
in Oriente e in Occidente. I figli e le figlie del
Libano attendono la sua nuova venuta nella
gloria. Tutti noi viviamo l’avvento degli Ultimi
Tempi della storia e tutti cerchiamo di preparare la
venuta di Cristo, di edificare il Regno di Dio da Lui
annunciato.
Beirut (Libano) 11.05.1997
"Adesso
l’impegno passa a noi, pellegrini ancora in cammino
sulla terra. Dopo l'Ascensione di Gesù due angeli
domandano agli Apostoli: " Perché
state a guardare il cielo? Questo
Gesù... tornerà un giorno. (Atti 1, 11). La domanda è rivolta anche a noi: siamo ora nel
tempo dell’attesa operosa e vigilante del Ritorno
glorioso di Cristo!
Il nostro spirito, animato da viva
speranza, gioisce ed invoca:
“Vieni, Signore Gesù”. E la risposta, consegnata nel
libro dell'Apocalisse colma di gioia il nostro cuore,
come quello
di ogni credente: “Sì, vengo presto!".
Amen. (Ap.22,20) Torino (Italia), 24.05.1998
La "ricapitolazione" di tutte le cose
in Cristo
I. Il disegno salvifico di Dio, "il mistero
della sua volontà" (Ef 1,9) concernente ogni
creatura, è espresso nella Lettera agli Efesini con
un termine caratteristico: "ricapitolare" in Cristo
tutte le cose, celesti e terrestri (cfr Ef 1,10).
L'immagine potrebbe rimandare anche a quell'asta
attorno alla quale si avvolgeva il rotolo di
pergamena o di papiro del volumen, recante su di sé
uno scritto: Cristo conferisce un senso unitario a
tutte le sillabe, le parole, le opere della
creazione e della storia.
A cogliere per primo e a sviluppare in modo
mirabile questo tema della 'ricapitolazione' è
sant'Ireneo vescovo di Lione, grande Padre della
Chiesa dei secondo secolo. Contro ogni
frammentazione della storia della salvezza, contro
ogni separazione tra Antica e Nuova Alleanza, contro
ogni dispersione della rivelazione e dell'azione
divina, Ireneo esalta l'unico Signore, Gesù Cristo,
che nell'Incarnazione annoda in sé tutta la storia
della salvezza, l'umanità e l'intera creazione:
"Egli, da re eterno, tutto ricapitola in sé"
(Adversus haereses 111, 21,9).
2. Ascoltiamo un brano in cui questo Padre
della Chiesa commenta le parole dell'Apostolo
riguardanti appunto la ricapitolazione in Cristo di
tutte le cose. Nell' espressione "tutte le cose"
afferma Ireneo è compreso l'uomo, toccato dal
mistero dell' Incarnazione, allorché il Figlio di
Dio "da invisibile divenne visibile, da
incomprensibile comprensibile, da impassibile
passibile, da Verbo divenne uomo. Egli ha
ricapitolato tutto in se stesso, affinché come il
Verbo di Dio ha il primato, sugli esseri
sopracelesti, spirituali e invisibili, allo stesso
modo egli l'abbia sugli esseri visibili e corporei.
Assumendo in sé questo primato e donandosi come capo
alla Chiesa, egli attira tutto in sé" (Adversus
haereses 111, 16,6). Questo confluire di tutto
l'essere in Cristo, centro dei tempo e dello spazio,
sì compie progressivamente nella storia superando;
gli ostacoli, le resistenze del peccato e del
Maligno.
3. Per illustrare questa
tensione, Ireneo ricorre all'opposizione, già
presentata da san Paolo, tra Cristo e Adamo (cfr Rm
5,12-2 1): Cristo è il nuovo Adamo, cioè il
Primogenito
dell'umanità fedele che accoglie con amore e
obbedienza il disegno di redenzione che Dio
ha tracciato come anima e meta della storia.
Cristo deve, quindi, cancellare l'opera di
devastazione, le orribili idolatrie, le
violenze e ogni peccato che l'Adamo ribelle ha
disseminato nella vicenda secolare dell'umanità e
nell'orizzonte de * 1 creato. Con la sua piena
obbedienza al Padre, Cristo apre l'era
della pace con Dio e tra gli uomini, riconciliando
in sé
l'umanità dispersa (cfr Ef 2,16). Egli
'ricapitola' in sé Adamo, nel quale tutta l'umanità
si
riconosce, lo trasfigura in figlio di Dio, lo
riporta alla comunione piena con il Padre. Proprio
attraverso la sua fraternità con noi nella carne e
nel sangue, nella vita e nella morte Cristo
diviene il capo dell' umanità salvata. Scrive
ancora sant'Ireneo: "Cristo ha ricapitolato in se
stesso tutto il sangue effuso da tutti i giusti e da
tutti i profeti che sono esistiti dagli inizi"
(Adversus haereses V, 14, l; cfr V, 14,2).
4. Bene e male sono, quindi, considerati alla luce
dell'opera redentrice di Cristo. Essa, come fa intuire
Paolo, coinvolge tutto il creato, nella varietà delle
sue componenti (cfr Rm 8,18‑30). La stessa natura
infatti, come è sottoposta al non senso, al degrado e
alla devastazione provocata dal peccato, così partecipa
alla gioia della liberazione operata da Cristo nello
Spirito Santo.
Si delinea, pertanto, l'attuazione piena dei
progetto originale del Creatore: quello di una creazione
in cui Dio e uomo, uomo e donna, umanità e natura siano
in armonia, in dialogo, in comunione.
Questo progetto, sconvolto dal peccato, è ripreso in
modo più mirabile da Cristo, che lo sta attuando
misteriosamente ma efficacemente nella realtà presente,
in attesa di portarlo a compimento. Gesù stesso ha
dichiarato di essere il fulcro e il punto di convergenza
di questo disegno di salvezza quando ha affermato: Io,
quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (Gv
12,32). E l'evangelista Giovanni presenta quest'opera
proprio come una specie di ricapitolazione, un "riunire
insieme i figli di Dio che erano dispersi"(Gv 11,52).
5. Quest'opera giungerà a pienezza nel compimento della
storia, allorché è ancora Paolo a ricordarlo
"Dio sarà tutto in tutti" (ICor 15,28).
L'ultima pagina dell'Apocalisse che è
stata proclamata in apertura del nostro incontro dipinge
a vivi colori questa meta. La Chiesa e lo Spirito
attendono e invocano quel momento in cui Cristo
"consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al
nulla ogni principato e ogni potestà e potenza...
L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte,
perché ogni cosa (Dio) ha posto sotto i piedi" del suo
Figlio (1 Cor 15,24.26). Al termine di questa battaglia
cantata in pagine mirabili dall'Apocalisse Cristo
compirà la 'ricapitolazione' e coloro che saranno uniti
a lui formeranno la comunità dei redenti, che non sarà
più ferita dal peccato, dalle impurità, dall'amor
proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena
degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si
manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà
sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca
comunione" (CCC, 1045).
La Chiesa, sposa innamorata dell'Agnello, con lo sguardo
fisso a quel giorno di luce, eleva l'invocazione
ardente: "Maranathà" (ICor 16,22), "Vieni, Signore
Gesù!" (Ap 22,20).
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 14 febbraio 2001.
Verso cieli nuovi e una terra nuova
1.
La Seconda Lettera di Pietro, ricorrendo ai simboli
caratteristici del linguaggio apocalittico in uso
nella letteratura giudaica, addita la nuova
creazione quasi come un fiore che sboccia dalle
ceneri della storia e dei mondo (cfr 3,11-1 2)
un'immagine che sigilla il
libro dell'Apocalisse, quando Giovanni
proclama: "Vidi poi un nuovo cielo e una nuova
terra, perché il cielo e la terra di prima erano
scomparsi e il mare non c'era più" (Ap 2 1, 1).
L'apostolo Paolo, nella Lettera ai Romani,
descrive la creazione gemente sotto il peso dei
male, ma destinata ad "essere lei pure liberata dalla
schiavitù della corruzione, per entrare nella
libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,2 1).
La Sacra Scrittura inserisce così quasi un filo d'oro
in mezzo alle debolezze, miserie, violenze e
ingiustizie della storia umana e conduce verso una
meta messianica di liberazione e di pace. Su questa
solida base biblica, il Catechismo della Chiesa
Cattolica insegna che "anche l'universo visibile è
destinato ad essere trasformato, affinché il mondo
stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia,
senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti",
partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo
risorto" (CCC, 1047; cfr sant'Ireneo, Adv. haer.,
5,32). Allora finalmente, in un mondo pacificato,
"la sapienza del Signore riempirà la terra come le
acque ricoprono il mare" (Is 11.9).
2. Questa nuova creazione, umana e cosmica, è
inaugurata con la risurrezione di Cristo,
primizia di quella trasfigurazione a cui tutti siamo
destinati. Lo afferma Paolo nella Prima
Lettera ai Corinzi: 'Prima Cristo, che è
la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono
di
Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà
il Regno a Dio Padre ( ... ). L'ultimo nemico ad
essere annientato sarà la morte... perché Dio sia
tutto in tutti" (lCor 15,23.24.26.28).
Certo, è una prospettiva di fede che talora può essere
tentata dal dubbio, nell'uomo che vive nella storia
sotto il peso dei male, delle contraddizioni e della
morte. Già la citata Seconda Lettera di Pietro se ne
fa carico, riflettendo l'obiezione di quanti sono,
sospettosi o scettici o persino "schernitori
beffardi" e s'interrogano: "Dov'è la promessa della
sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri
chiusero gli occhi tutto rimane come al principio
della creazione" (2Pt 3, 3.4). Questo è
l'atteggiamento scoraggiato di coloro che rinunciano
ad ogni impegno nei confronti della storia e della
sua trasformazione. Essi sono convinti che nulla può
mutare, che ogni sforzo è destinato ad essere
vanificato, che Dio è assente e per nulla
interessato a
questo minuscolo punto dell'universo che è la terra.
Già nel mondo greco alcuni pensatori insegnavano
questa prospettiva e la Seconda Lettera di Pietro
forse reagisce anche a questa visione fatalistica
dagli evidenti risvolti pratici. Se, infatti, nulla
può cambiare, che senso ha
sperare? C'è solo da porsi ai margini della vita,
lasciando che il movimento ripetitivo delle vicende
umane compia il suo perenne ciclo. Su questa scia
molti uomini e donne sono ormai accasciati al bordo
della storia, privi di fiducia, indifferenti a
tutto, incapaci di lottare e di sperare. La visione
cristiana è illustrata, invece, in modo limpido da
Gesù allorché
interrogato dal farisei: 'Quando verrà il
Regno di Dio?', rispose. '11 Regno di Dio non
viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno
dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il Regno di
Dio è in mezzo a voi!" (Lc 17,20.2
1).
4. Alla tentazione di quanti suppongono
scenari apocalittici di irruzione dei Regno di Dio e
di quanti chiudono gli occhi appesantiti dal sonno
dei l'indifferenza, Cristo oppone la venuta senza
clamore dei nuovi cieli e della nuova terra. Tale
venuta è simile al nascosto eppur fervido
germogliare dei seme nella terra (cfr Mc 4,26.29).
Dio, dunque, è entrato nella vicenda umana e
nel mondo e procede silenziosamente, attendendo con
pazienza l'umanità con i suoi ritardi e
condizionamenti. Egli ne rispetta la libertà, la
sostiene quando è attanagliata dalla disperazione,
la conduce di tappa in tappa e la invita a
collaborare al progetto di verità, di giustizia e di
pace dei Regno. L'azione divina e l'impegno umano
devono pertanto intrecciarsi tra loro. "Il messaggio
cristiano, lunai dal distogliere gli uomini dal
compito di edificare il mondo, lunai dall'incitarli
a disinteressarsi del bene dei propri simili, li
impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora
più stringente" (Gaudium et spes, 34).
5. Si apre, così, davanti a noì un tema di grande
rilievo che ha sempre interessato la riflessione e
l'opera della Chiesa. Senza cadere negli estremi
opposti dell' isolamento sacrale e del secolarismo,
il cristiano deve esprimere la sua speranza anche
all'interno delle strutture della vita secolare. Se
il Regno è divino ed eterno, esso
è
però seminato nel tempo e nello spazio: è "in mezzo a
noi" come dice Gesù.
Il Concilio Vaticano Il ha sottolineato con forza
questo legame intimo e profondo: 'la missione della
Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di
Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di
permeare e perfezionare l'ordine delle realtà
temporali con lo spirito evangelico" (Apostolicam
actuositatem, 5). L'ordine spirituale e quello
temporale, "sebbene siano distinti, tuttavia
nell'unico disegno divino sono così legati, che Dio
stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo
per formare una nuova creatura, in modo iniziale su
questa terra, in modo perfetto nell'ultimo
giorno"(ivi).
Animato da questa certezza, il cristiano cammina con
coraggio per le strade dei mondo cercando di seguire
i passi di Dio e collaborando con lui a far nascere
un orizzonte in cui "misericordia e verità
s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno" (Sai
85 [84],11).
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 31 gennaio 2001
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