"La vera pace
viene da Dio" (San Giovanni Crisostomo, P.G.
61, 14).
La pace di Dio e la pace
sulla terra hanno tra loro un rapporto di madre a figlia.
Il nostro Signore Gesù
Cristo, "Principe della pace", secondo il profeta Isaia (9, 6),
sebbene abbia distinto la pace di Dio dalla pace del mondo (cfr Gv 14, 27), ha
chiamato beati gli operatori di pace promettendo che "saranno chiamati
figli di Dio" (Mt 5, 9).
La pace di Dio viene
offerta a colui che, riconciliato con Dio per mezzo di Gesù Cristo, manifesta
realmente la comunione con lui mediante l'amore, la virtù, la piena fede e
fiducia in lui.
La pace di Dio è la più
perfetta delle benedizioni e si presenta come stabilità nella guida dell'uomo
(Basilio il Grande, P.G. 30, 305). Come tale, sorpassa ogni intelligenza (cfr
Fil 4, 7) e non ha fine (cfr Is 9, 7). "Si protende lungo ogni secolo,
essendo illimitata ed infinita" (Basilio il Grande, P.G. 30, 513). Non
esiste una simile pace "se prima non si è pervenuti alla virtù"
(Giovanni Crisostomo, P.G. 62, 73), perché essa è frutto della grazia, che
opera in coloro che sono liberati da desideri malvagi e da dissidio interno.
Le passioni malvagie creano la perturbazione interna, e quando trascinano la
volontà ad operare per essere tradotte in atto provocano la guerra esterna (cfr
Gc 4, 1).
Perciò, per avere la
pace nel mondo bisogna essere in pace con Dio e, di conseguenza, con noi
stessi e tra di noi. La parola di Cristo rivolta alla città di Gerusalemme
"se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace" (Lc
19, 42), si rivolge ugualmente oggi al mondo intero. Abbiamo il dovere,
soprattutto adesso, dopo lo sterminio di vittime ed orrendi olocausti, di
conoscere anzitutto i presupposti spirituali, ma anche economici e di altro
genere della pace sulla terra. E questi presupposti sono la giustizia, il
rispetto della sacralità della persona umana del prossimo, e della sua libertà
e dignità, la riconciliazione, la disposizione benevola e altruistica verso
l'uomo, e in genere verso la vita virtuosa secondo Dio, nella quale è
compresa anche la giustizia, l'equilibrata partecipazione di tutti ai beni
della terra, della scienza e della tecnologia. Affinché non si ripeta sulle
nostre generazioni in estensione mondiale la distruzione, prevista da Cristo e
realizzata allora, di una sola città, dobbiamo pentirci e ritornare a Dio e
conoscere e compiere la sua santa volontà. Allora Dio, il quale non è Dio
della guerra e della battaglia, ma Dio di pace, esaudirà le nostre preghiere
e darà a noi e al mondo anche la pace sulla terra. Altrimenti, se persistiamo
nelle passioni peccaminose e malvagie e nelle aspirazioni personali avide,
interessate e individualiste, le voci delle guerre aumenteranno e la sventura
colpirà la terra e l'umanità.
Che il Signore della pace
ci dia la sua pace. Così sia.
Arcivescovo
di Canterbury Sua Grazia George Carey
La testimonianza
dell'Arcivescovo di Canterbury è stata letta dal Vescovo Richard Garrard.
Con grande gioia saluto i
leader delle comunità di fede riuniti ad Assisi su invito di Sua Santità
Giovanni Paolo II. Sono molto dispiaciuto di non poter essere insieme con voi,
considerando in modo particolare che i leader religiosi hanno la possibilità
di dare un contributo veramente importante alla pace e alla riconciliazione
del nostro mondo, sempre più instabile e pericoloso.
Negli ultimi mesi abbiamo
appreso ancora una volta quanto sia grande il bisogno l'uno dell'altro.
Abbiamo sperimentato violenza, guerra e odio, ed abbiamo visto come gli errori
di una generazione possano ripetersi nei figli e nei nipoti. Abbiamo bisogno
che la grazia di Dio ci tocchi con una generosità che sia più che umana, e
liberi noi stessi e il nostro prossimo dai disastri del passato.
Non si tratta di un
cammino veloce o indolore. Là dove le persone hanno appreso ad essere ostili
o sospettose, occorrerà molto per costruire amicizia e fiducia. Gesù Cristo,
il leader ispiratore di tutti i cristiani, ci ha insegnato che sono beati gli
afflitti, perché saranno consolati. Ci ha detto che sono beati i
misericordiosi, perché troveranno misericordia, e beati gli operatori di pace
perché saranno chiamati figli di Dio. Occorre perseverare nella speranza, e
non lasciarsi prendere dallo sconforto.
Le entità religiose,
come pure i leader religiosi, hanno un compito delicatissimo e difficile in
cui impegnarsi. Nonostante le nostre imperfezioni, siamo testimoni della bontà
di Dio. Noi cerchiamo di dire parole di verità, di amore e di perdono,
rimanendo saldi in ciò che è il bene. Noi riconosciamo che le nostre
tradizioni possono essere stravolte per dividere le persone, piuttosto che
riunirle insieme. Talvolta ci siamo definiti per ciò che ci divide, piuttosto
che per quanto ci unisce.
Riconosciamo di averci
mal compreso e di averci feriti l'un l'altro; perciò dobbiamo costruire la
nostra pace sul nostro bisogno di accogliere il perdono e di offrirlo.
Le nostre preoccupazioni,
tuttavia, devono essere allo stesso tempo pratiche, oltre che oranti e
profetiche. Non possiamo proclamare la libertà ai prigionieri senza liberare
i poveri da un debito opprimente. Se vogliamo vivere in armonia con i vicini,
significa che dobbiamo dar da mangiare agli affamati e cure mediche ai malati.
Se ci consideriamo membri di un'unica famiglia umana, dobbiamo condividere con
i molti che sono nell'indigenza le cose buone che alcuni di noi possiedono.
Dobbiamo farlo in una
maniera che sia onorevole per tutti; rispetti la dignità umana di tutti, e li
metta in grado di partecipare alla vita economica e politica del mondo.
Fratelli e sorelle, anche
se non sono presente insieme a voi, il vostro odierno incontro sarà senza
dubbio nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Questo è un giorno che segna
una tappa nuova del nostro viaggio, un segno del nostro impegno l'uno per
l'altro, e per Iddio che ci guida in avanti insieme.
Dr.
Ishmael Noko (Federazione Luterana Mondiale)
Questo è un giorno in
cui ci rivolgiamo al Signore, nostra potente fonte di vita dai molti nomi, con
la nostra supplica per il futuro del mondo. È un'occasione per riflettere su
ciò che la fede religiosa significa in un mondo di violenza. La domanda che
ci sta di fronte è: Dove è la nostra fedeltà suprema? Come possiamo
rendere testimonianza prima e anzitutto ad un Dio che ama tutto il mondo,
piuttosto che ad uno legato a certe lealtà nazionali, culturali o politiche?
Il dialogo interreligioso
e le relazioni tra persone diverse di differenti fedi sono essi stessi
espressione di genuina fede in Dio. Esse costruiscono ponti di mutua fiducia e
rispetto, e abbattono muri di ostilità. Le relazioni interreligiose non
possono essere isolate dalle loro implicazioni sociali e politiche. Attraverso
il dialogo, l'auto esame, la preghiera e la riflessione possiamo comprendere
meglio ed essere autorizzati a rispondere alle condizioni di disperazione di
molte parti del mondo, che aiutano a fomentare l'odio e la violenza. Prego
che, attraverso questi mezzi, possiamo trovare le giuste vie per alleviare la
povertà, le disparità economiche, le violazioni dei diritti umani, i
rapporti di potere abusivi e altre ingiustizie che li sostengono, cose tutte
che intensificano quella disperazione.
In un mondo scosso dalla
ferocia di odi alimentati da fondamentalismi religiosi, il dialogo
interreligioso gode di una rinnovata attenzione e priorità. Lo scopo ultimo
di un simile dialogo, come pure della preghiera e della riflessione in cui
siamo ora impegnati, è di ascoltare ciò che Dio ha da dirci, attraverso le
nostre diverse tradizioni. In questo modo possiamo scoprire la grazia e la
volontà di Dio e ripudiare atteggiamenti che legittimino i conflitti basati
sulla religione.
Le Nazioni Unite, che a
giusta ragione hanno ricevuto lo scorso anno il Premio Nobel per la Pace,
devono continuare a svilupparsi ulteriormente in ciò per cui sono state
designate ad essere sin dall'inizio, così che possano promuovere sempre più
la fraternità fra tutti i Paesi, impegnate ad agire e capaci di farlo in modo
deciso nei confronti della giustizia internazionale, della pace e
dell'integrità della creazione di Dio. Il ruolo della diplomazia deve essere
rafforzato per affrontare direttamente le cause che soggiacciono al terrorismo
e alla violenza. Lo scopo delle relazioni diplomatiche nella situazione
attuale è più alto di quello di costruire un'alleanza per un'azione
militare. Devono contribuire nella sostanza a rettificare e a sanare
ingiustizie del passato, come pure ad edificare visioni comuni per un futuro
migliore.
Una responsabilità grave
pesa al presente sui politici del mondo, come pure sulle comunità religiose,
sulle istituzioni finanziarie, sulle comunità scientifiche ed educative,
sulle istituzioni e le agenzie di informazione, e sul mondo dello spettacolo.
Il mondo globalizzato non può essere semplicemente un'arena di competizione
brutale, ma un luogo di ricerca del futuro comune dell'umanità.
Nella congiuntura critica
attuale, le Chiese della Federazione Luterana Mondiale cercheranno di
adempiere al loro ruolo di partner per la fraternità umana e per la giustizia
nelle differenti regioni, specialmente attraverso il dialogo e l'azione comune
con gli aderenti ad altre fedi.
Che tutti possano essere,
mediante il culto e la preghiera, strumenti mediante i quali Dio possa operare
per la guarigione del mondo.
Dr.
Setri Nyomi (Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate)
Il Buon Samaritano
E chi è il mio prossimo?
Come Chiese della
Tradizione della Riforma, non possiamo non iniziare questo momento di
testimonianza se non con la Parola di Dio. Il racconto familiare del Buon
Samaritano è sempre stato narrato con un accento sull'inaspettato
soccorritore che ha agito come prossimo - spesso senza una profonda analisi
delle differenze religiose e culturali esistenti tra il soccorritore e colui
che venne soccorso. È interessante rilevare che il nostro Signore Gesù
Cristo ha raccontato questa storia in risposta ad una domanda sulle condizioni
per la salvezza; tale vicenda è pervasa da toni di amore, di rispetto, di
attenzione e di comunanza di condivisione verso quanti possono essere di
cultura o religione totalmente differente, piuttosto che oltrepassarli,
ignorarli o trattarli da nemici.
Racconti simili ci
offrono la base per il compito di creare una cultura di pace nel mondo
odierno. Sfortunatamente, oggi abbiamo ereditato un mondo in cui persone con
altre motivazioni (spesso politiche o economiche) usano delle religioni come
strumenti per le loro guerre private, conducendo, pertanto, il mondo ad uno
stato di mancanza di pace. Se potessimo ascoltare ancora una volta la storia
del Buon Samaritano!
In questo tempo di
testimonianza, non siamo qui soltanto per lamentarci. Siamo qui anche per
celebrare i buoni esempi di essere "prossimo". Ricordiamo con
gratitudine l'esperienza del Consiglio Cristiano Liberiano e del Consiglio
Supremo Musulmano della Liberia che si sono radunati per formare il Comitato
interconfessionale. È stato quello l'inizio di un cammino di pace in Liberia.
Sì, la pace non è completamente realtà in Liberia, ma la risoluzione di
queste due comunità di operare insieme ha segnato una importante pietra
miliare, e tale decisione continua a spingere la Liberia verso un aumento
della pace. Simile vicenda può dirsi della Sierra Leone. In Indonesia, si
sente di comunità in cui hanno vissuto insieme per anni in pace cristiani e
musulmani, sino a tempi recenti, quando forze spesso motivate dall'esterno
hanno cominciato ad usare cristiani e musulmani l'uno contro l'altro in
qualcuna delle isole. Nei mesi scorsi, però, siamo stati informati che in
ambedue le comunità vi sono forze che desiderano radunarsi per dialogare e
opporsi a qualsiasi forza distruttiva. Sono segni di speranza che dobbiamo
incoraggiare e per i quali dobbiamo pregare.
Il nostro compito è
pregare perché questi semi di pace continuino a germogliare. Occorrono più
samaritani che, ispirati dalla fede, decidano che le differenze religiose non
dovrebbero permettere di ignorare, o addirittura odiare, quanti sono diversi.
Viviamo nelle stesse comunità sullo stesso pianeta. Quando ci impegniamo a
costruire la pace dentro le nostre comunità, ciò non è sleale nei confronti
delle nostre religioni o addirittura contrario ai nostri spiriti religiosi. Un
tale impegno è parte della nostra vocazione.
Continuiamo, perciò, ad
unirci e a pregare per la pace.
Geshe
Tashi Tsering (Buddismo)
Possa io divenire in ogni
momento, ora e sempre, un protettore di quanti sono senza protezione, una
guida per coloro che hanno perso la via, una nave per quanti devono solcare
gli oceani, un ponte per coloro che devono attraversare i fiumi, un santuario
per quanti sono in pericolo, una lampada per chi ha bisogno di luce, un luogo
di rifugio per quanti hanno bisogno di riparo, un servo di quanti sono nella
necessità.
Per tutta la durata
dello spazio, per il tempo che gli esseri viventi rimangono, sino ad allora,
possa anch'io restare e sconfiggere le miserie del mondo. (Da:
Guida al modo di vivere del Bodhisattva, Shantideva).
Chef
Amadou Gasseto (Religione Tradizionale Africana)
L'iniziativa del Papa
Giovanni Paolo II in favore della pace ha sempre suscitato in me molta
gioia e speranza per il nostro mondo, spesso lacerato dalla violenza e dalle
guerre. L'invito, che mi è stato fatto, di partecipare ad Assisi alla
preghiera per la pace è un onore per me e per tutti i fedeli membri del
"Vodun Avélékété", di cui sono il grande sacerdote. Accettando
di partecipare a questa preghiera, assumo l'impegno di promuovere presso i
miei fedeli uno spirito ed un atteggiamento di pace capaci di produrre un
impatto favorevole sulla società del Benin.
Ma io riconosco anzitutto
che la pace è un dono che Dio fa agli uomini. Comunque questo dono è
lasciato alla responsabilità dell'uomo chiamato dal suo Creatore a costruire
la pace in questo mondo. È una responsabilità universale che riguarda tutta
la creazione.
Per me, responsabile
della religione tradizionale "Vodun", la pace non è possibile
fintanto che sussistono lacerazioni, divisioni e antagonismi tra gli uomini.
Dobbiamo cominciare a dominare noi stessi per non essere autori di parole che
generano sentimenti di rivalità, di esclusione e di violenza. Dobbiamo essere
responsabili dello spirito che produce le nostre parole. Dovrebbe essere uno
spirito che crea la concordia, la convivialità e la fraternità. Allora la
pace avrà un terreno favorevole per attecchire negli uomini.
C'è una cosa della quale
sono convinto: la pace nel mondo dipende dalla pace fra gli uomini. La
responsabilità dell'uomo nel mondo influisce non soltanto sulla società, ma
anche sull'intera creazione. Quando non c'è la pace tra gli uomini non c'è
neanche la pace fra il resto della creazione e l'uomo. Le stagioni sono
sovvertite e la terra non produce più le sementi per dare il nutrimento
all'uomo. Ma quando gli uomini lavorano per la pace in una nazione, la loro
terra diventa ubertosa e il bestiame si moltiplica per il maggior benessere
dell'uomo. Questa è una legge della natura che proviene dal Creatore, che ha
legato il destino della creazione alla responsabilità dell'uomo.
Pertanto è una buona
cosa invitare ogni anno gli uomini a cambiare il cuore, rinunciando all'odio,
alla violenza, all'ingiustizia. I responsabili delle religioni nel mondo non
dovrebbero dimenticare, né trascurare questa consuetudine. Si tratta di
riparare il male che è stato fatto contro la creazione per colpa dell'uomo,
chiedere perdono agli spiriti tutelari delle zone che sono state toccate dalla
violenza e dal male commesso dall'uomo e domandare perdono, celebrare
sacrifici riparatori e purificatori al fine di restaurare la pace. Io sono
convinto che questa purificazione della natura è di capitale importanza per
riportare la pace tra gli uomini e il resto della creazione. Nei tempi
antichi, ai tempi dei re, il Benin rispettava scrupolosamente questa prassi e
il Paese godeva della pace e dei benefici della natura. I capi dei nostri
giorni devono preoccuparsi. Tutto ciò vogliamo dire loro quando saremo
tornati da Assisi per attuare nel Benin quanto avremo vissuto insieme a
livello mondiale in Italia.
Voglio anche sottolineare
una cosa essenziale: il rispetto dei "mani" degli antenati.
Dobbiamo ricordarci che gli antenati che ci hanno preceduto in questo mondo
hanno vissuto in un rapporto di rispetto verso Dio e la natura per lasciarci
un mondo ancora abitabile e accogliente per l'uomo. Il mondo come era
organizzato ai loro tempi non era perfetto sotto tutti gli aspetti, ma aveva
il vantaggio di mantenere una grande coesione fra gli uomini e la natura.
Alcuni divieti preservavano le sorgenti, le foreste e le zone di rinnovamento
della fauna e della flora. Altri divieti determinavano i rapporti umani
all'interno della famiglia e della società. Il mantenimento dell'ecosistema e
un grande equilibrio all'interno della società contribuivano efficacemente a
mantenere questa coesione fra la natura e gli uomini. Non si può parlare oggi
di pace senza il rispetto di questo mondo, lasciato in eredità dagli
antenati, in uno sforzo costante per migliorarlo a vantaggio degli uomini del
nostro tempo.
Fra le consuetudini
sociali che ci hanno lasciato in eredità i nostri antenati nella terra
africana del Benin vi è l'arte della "palabre" per risolvere i
conflitti interpersonali e sociali. In essa si impara l'arte del rispetto nei
confronti dell'avversario, come pure il saper tollerare la sua differenza e
capire le convinzioni altrui. Questo metodo deve ispirare i vari responsabili
della pace nel mondo affinché loro sappiano riportare gli avversari al
dialogo, che solo può restaurare la pace nei cuori e nelle nazioni. Niente
vale più del dialogo che permette di lasciarsi nella comprensione reciproca.
Si passa allora dall'odio alla stima reciproca. Questo ruolo importante della
"palabre" (colloquio con i capi tribù) deve essere salvaguardato
nelle istanze internazionali che decidono della pace fra le nazioni e nelle
nazioni fra le persone. La "palabre" deve portarci oggi il suo
apporto per permetterci di gestire il mondo del nostro tempo con tutte le sue
difficoltà che dipendono sempre dalla responsabilità dell'uomo.
Io ho appena proclamato
in ciò che voi avete ascoltato le mie convinzioni religiose sul mio impegno
in favore della pace nel mio paese e nel mondo. Io non saprei terminare qui
senza affermare con forza che la giustizia e l'amore fraterno costituiscono i
due pilastri fondamentali della vera pace fra gli uomini. Questa terra
d'Italia dove mi trovo per l'incontro spirituale di Assisi è una terra di
grandi tradizioni religiose. Noi responsabili religiosi dobbiamo insistere nei
nostri paesi sul rispetto delle altre nazioni e sulla solidarietà fra i
popoli. Il problema dello sviluppo dei paesi poveri, fra cui il mio,
costituisce senza dubbio la più grande minaccia contro la pace nel mondo. La
solidarietà fra i popoli deve condurre ad una più equa distribuzione delle
ricchezze del mondo. I paesi più sviluppati devono sostenere i paesi meno
avanzati nei loro sforzi verso lo sviluppo. Il commercio internazionale non
deve favorire soltanto quelli che hanno un'economia forte, ma rispettare lo
sforzo reale di lavoro e di produzione di ciascun popolo. Il 21 secolo nel
quale siamo entrati deve diventare un secolo di costruzione di un mondo più
giusto e più fraterno. I valori che dobbiamo promuovere in quanto capi
religiosi sono quelli dell'amore e della convivialità in un mondo dove in
realtà siamo tutti fratelli. È operando così che noi costruiremo la pace
nel mondo.
Che Dio benedica l'incontro di Assisi e che doni al nostro mondo la pace.
Didi
Talwalkar (Induismo)
Lasciate che inizi
ringraziando il Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso per avermi
invitato a esprimere il mio pensiero sulla pace nel mondo. Mi sento veramente
onorata e benedetta in presenza di Sua Santità, il Papa.
L'Induismo è per me una
profonda sorgente di ispirazione, ma non posso pretendere di essere nulla più
di una studentessa di una tradizione plurimillenaria. Faccio appello pertanto
alla comprensione di Sua Santità e degli altri venerati fratelli e sorelle
qui radunati.
Vari sono i significati
che si associano alla nozione di pace. Per i pensatori laici, la pace è
assenza di violenza e soluzione di conflitti senza violenza. Sembra tuttavia
che questa sia una comprensione assai limitata della pace. Certo, è
auspicabile che non ci sia violenza. Varie istituzioni e strutture d'ogni
livello politico, molti gruppi della società civile e religiosa, ecc., hanno
svolto e continuano a svolgere una lodevole opera di pacifica soluzione dei
conflitti all'interno e tra comunità. Tuttavia, ancora una volta, questo tipo
di pace è giunto ad un punto morto. Ci è venuta a mancare sino ad ora una
solida base della pace. Per me la pace consiste nel mantenere l'equilibrio e
l'armonia all'interno e all'esterno. Fino a quando non riusciremo a
raggiungere questa forma di comprensione, continueremo ad essere testimoni di
intolleranza, miseria, sfruttamento, conflitti e ingiustizia.
La religione, se
rettamente compresa, è quella forza propulsiva che può restaurare l'armonia
e l'unità tra il mondo interno ed esterno. Sebbene le religioni intendano
essere e da loro ci si aspetti che siano una forza unificatrice, la storia
ripetutamente mostra casi in cui alcuni autoproclamatisi salvatori della
religione hanno messo la religione al servizio del potere e di forze
disgregatrici.
Abbiamo visto come
l'orientamento religioso della gente può essere molte volte corrotto. Il vero
messaggio della religione non è e non può essere il bigottismo.
Io provengo da una
cultura nella quale il significato più vicino a religione è ciò che noi
chiamiamo dharma. Si tratta di una tradizione universale che concerne un
ordine morale di definire la relazione dell'"io" con
"l'altro" e l'energia divina. Questa interrelazione implica un
"ordine" che permette di espandere la consapevolezza personale da
un'esistenza chiusa in se stessa a una relazione con il divino.
Tale divinizzazione degli
esseri umani ci dà un senso del valore della vita. Non solo io sono
essenzialmente divina, ma ogni altro è ugualmente divino per essenza, e
questo ci unisce gli uni agli altri sotto la paternità di Dio (vasudhaiva
kutumbhakam). Con questa comprensione, le molteplici appartenenze cessano di
essere fonti di conflitto. Quanto il Pontificio Consiglio oggi propone,
costituisce un modello di rapporti interreligiosi. È un impegno che può
aprire il dialogo tra le varie tradizioni religiose allo sviluppo della
comprensione dell'umanesimo spirituale.
Per me, che appartengo
alla Swadhyaya parivar (famiglia), ispirata dal Rev. Pandurang Shastri
Athawale, tale universale fratellanza viene in modo naturale perché egli ha
inculcato in noi l'idea dell'accettazione di tutte le tradizioni religiose (sarva
dharma sweekaar). Esse non si escludono a vicenda. Alla base della Swadhyaya
c'è l'idea di un Dio che abita in tutti, e noi siamo figli dello stesso Dio.
Approfondendo l'eredità classica dell'India, egli ha cercato di abbattere le
barriere tra uomo e uomo e di liberare l'idea della religione dal dogmatismo,
dall'isolamento e dalle costrizioni.
Per noi l'impegno nelle
realtà sociali, la rigenerazione e la guarigione della comunità non sono
atti di riforma sociale, ma atti di manifestazione di gratitudine all'Essere
Supremo. Definiamo ciò bhakti, ossia devozione verso Dio. Lo chiamiamo forza
sociale perché permette all'individuo di superare la piccineria, l'odio e la
grettezza (kshudrata, krodh and lobha). È questa trasformazione dell'uomo ad
aiutarlo a volgere gli avvenimenti quotidiani in energie di liberazione dai
vincoli d'ogni genere e a superare difficoltà, complessi, senso di
isolamento, insicurezza e inutilità. Ci permette di passare dalla semplice
difesa dei diritti umani al livello superiore della difesa della dignità
umana e del dovere dell'uomo.
Miei venerati fratelli e
sorelle, da molto più in alto della mia condizione di vita, da questo augusto
incontro, alla benedetta presenza di Sua Santità il Papa, oso far appello
all'umanità perché si vada oltre l'isolamento, si sviluppi un amore
assoluto, disinteressato e incondizionato verso Dio e la sua creazione per
superare endemiche situazioni di crisi. Non si tratta di una semplice
costruzione teoretica. Nella nostra piccola via, abbiamo mostrato che è
possibile raggiungere un ordine sociale. Nella causa della pace, non cessiamo
di far ricorso ad ogni nostra interiore risorsa. Il nostro dialogo, che
celebra l'unità di diverse tradizioni religiose, non è arrivato un giorno
prima. Da qui possiamo camminare verso una unità delle religioni del mondo
perché si salvaguardi un futuro condiviso e benedetto da Dio.
Sheikh
Al-Azhar Mohammed Tantawi (Islam)
La testimonianza di
Sheikh Al-Azhar Mohammed Tantawi è stata letta dal Dr. Ali Elsamman (Islam).
Nel nome di Dio, il Tutto
Misericordioso, il Molto Misericordioso.
Rivolgo anzitutto un vivo
ringraziamento a Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II che riunisce oggi
tutti i Rappresentanti delle diverse tradizioni religiose, animati dallo
stesso fervore per costruire un mondo migliore. Per illuminarci in questo
cammino verso la pace, la fede musulmana ci offre alcuni richiami che vado
brevemente a presentarvi.
In primo luogo
Dio ha creato tutti gli
esseri umani a partire da un solo padre e da una sola madre. Come Dio ha
dichiarato nel libro Sacro: "Oh uomini! Temete il Signore che vi ha
creato da un solo essere, quindi, da costui, ha creato la sua sposa e ha fatto
nascere da questa coppia un gran numero di uomini e donne. Temete Dio! Voi vi
interrogate a questo riguardo e rispettate le viscere che vi hanno portato.
Dio vi osserva" (Sura Le donne, 1).
In secondo luogo
Tutte le religioni
monoteiste rivelate da Dio ai suoi venerabili profeti concordano su due punti
essenziali:
- la devozione al
culto del Solo e Unico, come Dio ha detto: "Egli ha stabilito per
voi, riguardo all'obbligo religioso, ciò che aveva prescritto a Noè, ciò
che noi ti riveliamo (Maometto) e ciò che avevamo prescritto ad Abramo, a Mosè
e a Gesù: adempite il culto. Non dividetevi in sette! Quanto appare
duro ai politeisti ciò a cui tu li chiami! Dio sceglie e chiama chi vuole a
questa religione e dirige verso di essa chi ritorna pentito a Lui" (Sura
La deliberazione", 13).
- il rispetto dei
valori: Allah ha rivelato la religione monoteista per la felicità
dell'umanità. Le religioni predicano tutti i valori dell'etica come l'umiltà,
la giustizia, la pace e la prosperità, come pure lo scambio di tutte le
azioni benefiche autorizzate da Allah, la cooperazione fra tutti i popoli in
favore della benevolenza e della pietà, e non per l'offesa e l'aggressione.
In terzo luogo
Dio ci ha creati in
questa vita perché ci conoscessimo gli uni gli altri, come Egli ha detto:
"Oh uomini! Noi vi abbiamo creati da un maschio e da una femmina. Vi
abbiamo costituiti in popoli e in tribù affinché vi conosceste tra di voi.
Il più nobile tra voi, presso Dio, è il più pio. Dio è colui che sa e che
è ben informato" (Sura Gli appartamenti privati, 13).
In quarto luogo
Tutte le religioni
monoteiste raccomandano che l'essere umano promuova il diritto e la giustizia,
restaurando i legittimi proprietari nei loro diritti. In questa occasione, Al
Azhar Al Sharif ha il piacere di rendere omaggio allo Stato del Vaticano per
il suo lodevole sostegno nei confronti del popolo palestinese.
In quinto luogo
In Egitto, musulmani e
cristiani hanno vissuto come fratelli per 14 secoli, sotto uno stesso cielo,
sulla stessa terra, uguali nei diritti e nelle responsabilità. Ciascuno
pratica la propria fede come dice il Santo Corano: "Niente
costrizione nella religione! La via diritta si distingue dall'errore. Colui
che non crede agli idoli e crede in Dio ha impugnato il manico più solido e
senza incrinature. Dio è colui che capisce e sa tutto" (Sura La vacca,
256).
Al Azhar e i suoi ulema,
in questa giornata di preghiera in comune, aderiscono con convinzione
all'appello alla pace con un legame immediato e inseparabile dalla giustizia.
Rabbi
Israel Singer (Ebraismo)
Solo Lei avrebbe potuto
mettere insieme qualcosa come questo. Giovanni Paolo II, solo Lei avrebbe
potuto far sì che ciò accadesse; noi dobbiamo aiutarla a farlo!
(Only You could put together something like this, John Paul the
second; only You can made this happen; and only we must help you do it! rivolto al Santo Padre, in lingua inglese, fuori
dal testo ufficiale).
"Grande è la pace,
poiché il nome di Dio
viene chiamato Pace"
La storia ci ha
dimostrato che mentre i leader delle religioni mondiali hanno sempre parlato
di pace, e i predicatori hanno pronunciato innumerevoli omelie sul fatto che
la pace è lo scopo ultimo delle religioni, in realtà, nella pratica, le
religioni sono servite per fomentare migliaia di guerre orrende e sanguinose.
I numerosi conflitti combattuti in Europa e in Asia fra le maggiori religioni,
le battaglie condotte lungo la storia fra sette differenti di una stessa
religione, sono ben conosciuti a tutti gli studenti di storia e di religione.
Anche oggi, gli uomini continuano a combattersi in Irlanda del Nord, a
scontrarsi nel Kashmir e in Pakistan e ad uccidere nel Medio Oriente.
Siamo tutti ben coscienti
del modo in cui, l'11 settembre dello scorso anno, dei folli che pretendevano
di agire in nome della religione hanno lanciato tre aerei nelle due Torri del
World Trade Center e del Pentagono, uccidendo migliaia di persone in pochi
minuti, causando così il primo conflitto militare internazionale del 21
secolo.
Noi Ebrei sottolineiamo
che le nostre tradizioni religiose non prevedono un ruolo centrale al concetto
di guerra religiosa. Ma non vogliamo essere insensati, dato che diverse volte
durante il nostro tragico e sanguinoso passato, ci siamo difesi e abbiamo
combattuto contro i nemici quando si presentava la necessità. E quando
abbiamo combattuto, abbiamo scrutato le nostre Scritture non per cercare una
giustificazione per la guerra, ma quale base religiosa delle nostre azioni. La
Bibbia è colma delle ingiunzioni di Dio agli Ebrei di combattere contro i
nemici quando è necessario. Nella nostra tradizione vi è il concetto di
"lo' tehayyun kol neshamah" di guerre contro gruppi specifici,
battaglie che devono essere combattute spietatamente e senza misericordia. Un
tema simile viene echeggiato in maniera fortissima nel continuo imperativo
religioso "mah eni meheh et zakar "amalek"", il
comandamento di combattere una guerra finale contro il male ultimo,
rappresentato da Amalek, un conflitto in cui non vengono presi prigionieri e
tutti devono essere uccisi.
E tuttavia, il
combattimento militare non è il cuore del giudaismo. La Bibbia giudaica, la
Legge orale, il Talmud, i Midrashim e gli Scritti rabbinici sottolineano tutti
l'importanza della pace, sia tra noi, sia con i vicini. Noi Ebrei siamo
impegnati in una ideologia, in una religione e in una filosofia centrate sui
concetti di pace, di bontà e di fraternità, comuni ad altre religioni del
mondo, specialmente il cristianesimo, che ha adottato e ha adattato moltissime
idee ebraiche. Le nostre Scritture ebraiche, come pure il Nuovo Testamento
cristiano, insegnano a non avere rancore contro quanti ci hanno colpito e a
cercare sempre la via della conciliazione e dell'amore fraterno. Anche quando
siamo inviati a far guerra contro i nostri nemici, Dio ci ingiunge di offrire
in primo luogo l'opportunità di arrendersi pacificamente, e soltanto quando
l'offerta viene rifiutata ci è permesso di usare le armi contro di loro.
Inoltre, i Profeti hanno ripetutamente posto di fronte ai nostri occhi una
visione della fine dei giorni nella quale le spade vengono trasformate in
aratri, e tutte le nazioni vivranno in pace.
Perciò la guerra non è
la nostra cultura, né compito, né missione, né nostro obiettivo di Ebrei.
In definitiva, non è neppure compito di altre religioni del mondo. Il
discorso della pace fatto in nome della religione non deve essere abbandonato,
poiché si basa sulla realtà di tutti i nostri ideali religiosi ed è il fine
ultimo al quale tutti aspiriamo. Dobbiamo rigettare le distorsioni degli
insegnamenti religiosi, sorte nel passato e non possiamo ventilare l'idea che
la violenza contro i membri di altre religioni o di altre sette religiose
sono di origine religiosa.
Dobbiamo ricordare che
nessuna religione ci comanda di uccidere in maniera indiscriminata, e quanti
hanno insegnato il contrario lo hanno fatto deviando e distorcendo le
religioni nel nome delle quali parlavano. Il Papa Giovanni Paolo II ha
corretto gli abusi usati storicamente per giustificare la violenza commessa
contro non cristiani.
Soltanto attraverso un
serio dialogo e mediante l'impegno a una dedizione fisica per la pace da parte
dei leader delle maggiori religioni, e non soltanto con semplici
pronunciamenti, con sacrifici per la pace, possiamo cominciare a cambiare la
condizione umana attuale. Il Papa Giovanni Paolo II ha giocato un ruolo
personale di questo genere, mediante i suoi sforzi di riconciliazione con il
Giudaismo, ed ha cambiato la storia fra Cristiani ed Ebrei. Questo può essere
senza dubbio per ciascuno di noi un modello da seguire, il sentiero dei
pellegrini che cercano la pace.
"Il Midrash dice a
riguardo della preghiera: le benedizioni non sono complete, finché non
contengono in se stesse la parola PACE" (Bamidbar Raba).
Chiara
Lubich (Chiesa Cattolica)
Gesù per noi cristiani
è il Dio della Pace.
Per questo la Chiesa
cattolica fa della pace uno degli obiettivi più sentiti. "Nulla è
perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra" esclamava Pio XII.
Pacem in terris titolava un'enciclica di Giovanni XXIII. "Mai più la
guerra" ripeteva Paolo VI all'ONU. E Giovanni Paolo II, dopo i terribili
avvenimenti dell'11 settembre, indica la via per raggiungerla: "Non
c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono".
L'intera Chiesa cattolica
lavora alla pace. Tante sono le vie che persegue. Efficacissimi sono i
dialoghi sulla via tracciata dal Concilio Vaticano II. Essi, perché generano
fraternità, garantiscono la pace.
Si attuano a livello
universale e nelle Chiese particolari, come attraverso gruppi e Associazioni,
Movimenti ecclesiali e Nuove comunità.
La Chiesa svolge il primo
tra i suoi stessi figli e figlie, innescando quella comunione richiesta ad
ogni livello, che è pace assicurata.
Attua un secondo
irreversibile con le diverse Chiese e Comunità ecclesiali, dialogo che
accresce la pace nella grande famiglia cristiana.
Realizza un altro con le
grandi Religioni del mondo, facendo leva, anche, sulla cosiddetta "regola
d'oro", presente in diversi Libri Sacri, che così è espressa nel
Vangelo: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi anche
voi fatelo a loro" (Mt 7, 12). Questa "regola d'oro",
sottolineando il dovere di amare i propri fratelli e sorelle, effettua
porzioni di fraternità universale in cui signoreggia la pace.
E infine il dialogo e la
collaborazione in più campi con tutti coloro che, pur senza un riferimento
religioso, sono uomini e donne di buona volontà per cui si può costruire
anche con essi la pace.
Varie espressioni, dunque, d'un unico grande dialogo, generatore di quella
fraternità che può diventare, in questo difficilissimo momento storico,
l'anima della vasta comunità mondiale, che paradossalmente oggi gente del
popolo e governanti cominciano ad auspicare.
Andrea
Riccardi (Chiesa Cattolica)
"Quell'evento (di
Assisi) non poteva rimanere isolato. Aveva infatti, una forza spirituale
dirompente: era come una sorgente..." - così ha scritto Giovanni
Paolo II ai leader religiosi presenti a uno dei quindici incontri
internazionali seguiti a quella memorabile giornata. Nel 1986, il mondo era
bloccato nella guerra fredda. Ma non abbiamo pregato invano ad Assisi e nello
spirito di Assisi!
Abbiamo visto come la
preghiera libera nuove energie di pace. Ci sono stati cambiamenti epocali:
le transizioni pacifiche dal comunismo nell'Est europeo, le pacificazioni in
America del Centro e del Sud, in Asia. Ho visto da vicino ritornare la
giustizia in Sud Africa, la pace in Mozambico. Nuove energie d'amore preparano
la pace.
Con la sua preghiera
insistente, la Chiesa non accetta che la guerra sia ineluttabile. Sono
aumentati gli operatori di pace. Nel secolo passato non pochi di essi sono
caduti: dal loro sangue è germogliata la pace! Il loro sangue ha
raggiunto quello di missionari, dei caduti per la carità e la giustizia. I
nuovi martiri del Novecento testimoniano la forza, umile e debole, dei
cristiani, più forte del male. Anche per la loro testimonianza, non siamo
rassegnati alle povertà del mondo e alla guerra, madre di tutte le povertà.
Tanti conflitti sono
ancora aperti. La Chiesa non dispera né si rassegna. Ricorda la dimensione
interiore della pace. Gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio e i
miti erediteranno la terra.
All'inizio dell'anno i messaggi per la Giornata mondiale della pace svegliano
dalla rassegnazione alla guerra o dall'irresponsabilità verso il male. Dove
è proclamato e vissuto il Vangelo, si apprende a non disperdere il gran dono
della pace, come diceva il beato Papa Giovanni XXIII. Ogni Chiesa locale, ogni
comunità cristiana, ogni famiglia diventa il santuario della pace.
La lezione storica degli
ultimi decenni e di tutto il Novecento ci dice: la pace è possibile e la
guerra è un'avventura senza ritorno. Infatti, noi cattolici, con tutti i
cristiani, con i credenti delle grandi religioni, abbiamo compreso meglio che
solo la pace è santa, mai la guerra! Per questo, oggi, di fronte alla durezza
di questi tempi accogliamo con speranza ed entusiasmo l'invito del Papa ad
aprire "il cuore e l'intelligenza alle sfide che ci attendono".
Patriarca
della Chiesa Ortodossa di Romania S. B. Teoctist
Messaggio letto
da S.E. Ioan Selejan, Vescovo di Harghita e Covasna.
Le Chiese cristiane, le
altre religioni, hanno il dovere di alzare insieme la voce per segnalare il
calpestare dei principi morali e spirituali, che tutte le religioni affermano
e che tutti i credenti vivono nella vita quotidiana. Tra questi valori
spirituali, la pace ne occupa un luogo primordiale perché la manifestazione
della fede è compiuta soltanto in un clima di pace. Per i cristiani,
l'incarnazione di Dio nella persona di Cristo, che è allo stesso tempo, uomo
e Dio, è un momento di pace e di riconciliazione universale, marcato dalla
voce degli angeli che annunciano questa nascita dall'alto: "Gloria a Dio
nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc
2,14).
Con questa speranza
salvifica della pace dall'alto, salutiamo l'organizzazione della
"Giornata di preghiera per la pace", un'iniziativa di Sua Santità
Giovanni Paolo II, in questo periodo di turbamenti e preoccupazioni a livello
mondiale, quando le religioni devono mostrarci di capire i fenomeni complessi
e di partecipare, nel loro modo specifico, alla conservazione della creazione
di Dio e di alzare l'uomo alla dignità che Dio gli ha affidato.